LIBRI MENO RECENTI

 in ordine cronologico



Architettura e socialismo, sette saggi di W. Morris, (Introd., trad., cura), Laterza, Bari 1963.

Quando, all’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso, Leonardo Benevolo invitò l'autore a  curare per Laterza un’antologia di saggi di William Morris, il libro uscì con una nota sul risguardo di copertina che si riferiva al riformatore delle arti applicate inglese come ad un «geniale artista assai poco conosciuto in Italia».  Vito Laterza confessò che Benedetto Croce stesso si era mostrato riluttante a farne pubblicare gli scritti, ritenuti sovversivi.  La consapevolezza di tale antefatto fu, ovviamente, di sprone nella scelta e nella traduzione dei sette saggi, poi introdotti nel libro con ingenuo trasporto, sintono agli stati d’animo di un mondo oggi remoto, in cui gli USA  - argomento anch’esso ben presto al centro dell’interesse e del lavoro critico dell’autore -  potevano ancora dominare la scena politico-militare (ma solo quella).



L’architettura del dopoguerra in USA, Cappelli, Bologna 1966. 
Il mondo subiva un’egemonia statunitense ancora indiscussa, ancorché travagliata dal dramma del Viet-Nam e dall’attentato a John Kennedy.  Studi critici sull’architettura americana erano ancora scarsi, nel ’66, e un saggio sullo sterminato e variegato tema della cultura d’oltre oceano, alla vigilia della svolta europea del ’68, imponeva uno sforzo di sintesi che ebbe il plauso di Giuseppe Samonà, tra i primi lettori del libro; che Benevolo, direttore della collana, trovò, invece, troppo accettante le nuove figure come Louis Kahn le quali, dopo i tre capitoli su Chicago, su New York e sulla California che sviluppano un discorso sull’International Style e sui suburbs,
assumono protagonismo nei due capitoli finali: le trattazioni su
Philadelphia e sul New England.



L’architettura del dopoguerra in USA, Cappelli, Bologna 1976 (riedizione ampliata).
 Riguardo a questa parte finale della prima edizione, si parla di “enfasi oggi anacronistica” per l’opera di recupero disciplinare attribuita a Kahn e per le speranze riposte nelle avanguardie dei Colleges.  E si aggiunge un nuovo, ultimo capitolo, che ripercorre la materia nei medesimi cinque settori, ma ne inverte l’ordine, “il che significa ribaltare il processo storico, smentire una parte delle iniziali speranze e misurarsi sulla realtà produttiva”. Il libro, con una nuova copertina, chiude su New York, definita: The fear city.



Architettura barocca a Lecce e in Terra di Puglia, con M.Calvesi, Bestetti, Roma 1970, 1974.
Il libro, in edizione particolarmente ricercata e con ottima documentazione fotografica di Maurizio Di Puolo, segue una pubblicazione più dimessa, edita dalla Comunità Europea dell’Arte e della Cultura nel 1966 che, a sua volta, raccoglieva in gran parte una monografia sulla Architettura Barocca in Terra d’Otranto, vincitrice, nel 1953, di un Concorso Nazionale e consultabile in biblioteca (che ha dato l’avvio a vari studi prevalentemente locali). Fin dalle prime indagini ci si rese conto, con Maurizio Calvesi, delle peculiarità inedite e specificamente caratterizzate entro una koinè mediterranea ben ampia, del fenomeno affrontato; bisognoso, in tutta evidenza, di una metodologia nuova sia nell’impianto filologico che nella ricerca sul campo.  Fu un approccio globale, quello che tentammo su un patrimonio prevalentemente inedito o malconosciuto.

L.H.Sullivan, Autobiografia di un’idea e altri scritti, Officina, Roma 1970.

La vecchia autobiografia è ripercorsa con lo strumento, da poco messo a punto, della ‘critica delle ideologie’.   Il libro è introdotto (p.10) da  “un primo bilancio che fa, comunque, piazza pulita dei vecchi clichès: del Sullivan pioniere dell’architettura moderna e padre del funzionalismo, secondo il ruolo da lui stesso assunto e confermatogli da una parte degli storiografi del Movimento Moderno; o del Sullivan oppositore radicale del ‘sistema’ e ammonitore della corruzione introdotta da Burnham con la Fiera Colombiana del ’93.  Ma quando comincia veramente l’attività fustigatrice di Sullivan? Non prima del 1900. E quando attacca esplicitamente la Fiera? 
Nel 15° capitolo dell’Autobiografia. Con trent’anni di ritardo, quindi”. Il testo, condotto con disincanto forse anche eccessivo in quanto datato, scopre e conferma la figura di Sullivan come caso paradigmatico sul quale le contraddizioni di un’ideologia fuori del tempo si verificano con maggiore spietatezza.


Giuseppe Samonà: la casa popolare degli anni ’30 (a cura di), Marsilio Editori, Venezia 1973, 1977, 1982.

Il lungo saggio che introduce il testo di Samonà del 1935 ricolloca un vecchio libro, ormai fuori commercio negli anni ’70, nel suo contesto spazio-temporale  - quello della gestione fascista - riletto con l’occhio critico di un giovane studioso del Movimento Moderno, da alcuni anni docente nella Scuola veneziana dell’IUAV, conformatasi, dal 1938, sotto la guida, appunto, di Giuseppe Samonà.  Tra il testo originale e l’edizione di Marsilio corre un’intera generazione (e un’altra ne corre per chi prenda il libro in mano oggi).  Affidata a un’ermeneutica diacronica comparativa, la lettura può quindi illuminare sulla storia recente della produzione edilizia e del pensiero progettuale, gettando luce su numerose figure importanti anche se poco frequentate dalla cultura attuale.

La città americana dalla  Guerra civile al New Deal, con G.Ciucci, F. Dal Co e M. Tafuri, Laterza, Bari 1973.

Il libro, costituito da quattro saggi indipendenti, avverte già in premessa che non intende dare un quadro completo dell’enorme tematica della città americana.  Si tratta, infatti di quattro prospettive diverse che aggrediscono un tema unico, ribelle ad ogni tentativo di trattazione esaustiva.  L’autonomia dei saggi è quindi reale.    Il primo saggio, di M. Manieri Elia, Per una città imperiale, prende le mosse da: “La città del ‘laissez faire’”, che offre all’architettrua la paritetica disponibilità di una griglia urbana che diviene campo di battaglia per il duello tra i bos e i rifomatori, mentre nascono i primi grattacieli.  Con gli anni Novanta e la crisi economica del ’93, la grande svolta politica vedrà esaltato il rapporto con il Vecchio Continente e le beaux arts.  La Fiera di Chicago sanzionerà, con la promozione ufficiale del linguaggio classicista, la nuova apertura del linguaggio architettonico verso l’Europa con enormi conseguenze sul linguaggio architettonico e sul Planning.


William Morris e l’ideologia dell’architettura moderna, Laterza, Bari 1976.
Come per il testo sugli USA, il rapido evolversi degli eventi impose, anche per la antologia di sette testi morrisiani tradotti e commentati nel 1963  - ormai esaurita e introvabile -, una riedizione dieci anni dopo.  Ma, a valle del ’68 e dopo il mio trasferimento universitario a Venezia  nel pieno del programma tafuriano della ‘critica delle ideologie’, parse necessaria una totale revisione dell’impianto teorico del libro. Ormai, la tesi pevsneriana e benevoliana dell’unità storica del processo di sviluppo “da William Morris a Walter Gropius” rivelava, per noi, tutta la sua intelligente arbitrarietà.  E su questa era urgente riflettere, per verificarne i moventi e tentare di restituire ai fatti il loro reale ruolo storico. Tale contingenza giustificò il successo del libro, subito tradotto in spagnolo, per le Edizioni G. Gili, Barcellona 1977.


Ugo Luccichenti architetto, con F. Pierdomenico e M. Piersensini, Officina, Roma 1980.

      La conoscenza dell’Autore con Luccichenti risale alla congiuntura che sconvolse la professione degli architetti italiani con il concorso per l’albo dei progettisti Ina-Casa. Una operazione lanciata da Fanfani e gonfiata di seduzione corporativa da Foschini, dalla quale, laureato da pochi mesi (1954), rischiavo di rimanere escluso.  Luccichenti, al cui gruppo formatosi in estremis fui aggregato, aveva ancora un piccolo studio a Roma in via Timavo, anche se aveva già realizzato il complesso del Belsito a Medaglio d’oro e, tra acute polemiche, era investito dalla Società Immobiliare del controverso intervento dell’albergo Hilton a MonteMario.  In questo libro, che è una vivace raccolta di documenti grafici, si tenta la non facile collocazione storica di un maestro che non si presenta come tale perché il suo magistero tende naturalmente a mantenersi tenacemente entro l’induttività del gioco.



Storia e uso dei modelli architettonici, con G. Curcio, Laterza, Bari 1982.
Storia e uso sono due parole che assumono la materia trattata in un’ottica produttiva, come ‘patrimonio’ in un processo di accumulazione, consono alla cultura di chi è impegnato, come l’architetto, in un processo di trasformazione dell’ambiente.  Il libro percorre la storia dell’architettura e della città dal tempio classico al XVIII secolo, verificando, via via, le modalità di uso del passato, su undici nodi storici di grande significatività.  Questa verifica diacronica che impegna la prima parte del volume viene poi sperimentata in relazione a quattro temi concreti: “La costruzione del duomo”; “Leon Battista Alberti”; “Mater ecclesiarum”; e “La dimensione urbana”; la cui stesura, in forma disgiunta e alterativa, si deve ai due autori, mentre la prima parte è interamente di Manieri Elia.  Infatti, nel 1989, vi sarà una riedizione in due libri editi separatamente: Mario Manieri Elia, Architettura e mentalità e Curcio Manieri Elia,  Architettura e città.

William Morris, Opere (a cura di), Laterza, Bari 1985.

  Esaurita ormai da anni l’antologia  - ideologica -  di scritti di William Morris, del 1963, ed esaurita altresì la successiva ripubblicazione critica  - ideologica, forse, anch’essa, ma da un opposto punto di vista -,  l’esigenza di una riedizione di quest’ultima ha dato luogo a una nuova edizione antologica integrata con ulteriori testi morrisiani utili a far conoscere aspetti trascurati perché ritenuti regressivi e meno ‘politici’ per il loro timbro romantico.  Oltreché astrusi per la loro arcaicità linguistica sintona con i più tardi disegni e decorazioni, la cui riproduzione viene anch’essa a integrare i contenuti dei precedenti contributi su una figura tanto nodale quanto controversa.


Architettura salentina tra innovazione e continuità, in: AA.VV; “Barocco leccese”,  Electa, Milano 1989.

      Il lungo saggio (pp.26-123), copiosamente illustrato, affronta, con un taglio critico ancora più agguerrito, tematiche dall’autore già frequentate, focalizzando il discorso sul linguaggio architettonico come significazione storica.  E ciò, prendendo le mosse dal singolare duello semantico che insorge tra due coeve opere leccesi: la chiesa gesuitica del Gesù e la fronteggiante Santa Croce, capolavoro dei monaci Celestini.  Un dualismo denotativo e connotativo che informerà fino alle soglie dell’Ottocento e al consolidarsi della società borghese l’espressione radicalmente divaricata delle diverse anime di un popolo sul quale, come in pochi altri contesti antropologici, sopravvivono, significativamente incrociati, profondi lasciti orientali in aperta reazione con la cultura dell’Occidente e i prodromi del Moderno.